La vera origine della pratica di confessare i peccati al prete

Durante i primi secoli, nella Chiesa si cominciò a prescrivere che colui che fosse caduto in qualcuno dei peccati per i quali la Chiesa aveva stabilita una penitenza in segno di ravvedimento, confessasse il suo peccato nella raunanza e venisse poi sottoposto alla penitenza canonica. 

In altre parole inizialmente la confessione per alcuni peccati avveniva pubblicamente e dopo di essa il vescovo assegnava al penitente la penitenza prescritta dai canoni sinodali che variava a secondo del peccato commesso; e dopo che il penitente era passato per tutti i gradi della sua punizione (che poteva durare anche molti anni) veniva riconciliato con la Chiesa e ammesso alla cena del Signore. 


La riconciliazione avveniva mediante l’imposizione delle mani del vescovo sul penitente e la preghiera del vescovo a pro di lui affinché Dio accettasse la sua penitenza e lo restituisse alla Chiesa. 

Questa cerimonia non consisteva in un’assoluzione del penitente perché si riteneva che questi potesse essere assolto solo da Dio, solo lui infatti aveva il potere di perdonare i peccati; in altre parole il vescovo non assolveva il penitente come oggi si sa il prete fa nella confessione ma solo intercedeva presso Dio per lui. 

Ma col passare del tempo sviluppandosi la dottrina del potere delle chiavi questa intercessione diventerà assoluzione per cui verrà attribuito al vescovo il potere di riconciliare il penitente con Dio oltre che con la Chiesa. Come abbiamo detto innanzi la confessione era pubblica.

Come dunque avvenne che da pubblica essa divenne privata? In questa maniera. Quando nella seconda metà del terzo secolo sorse la questione dei lapsi, ossia di coloro che erano caduti nell’idolatria durante la persecuzione che c’era stata sotto l’imperatore Decio, i quali chiedevano di essere riammessi alla comunione e la Chiesa accettò di riammetterli dopo che avessero fatto anche loro confessione pubblica del loro peccato, allora il numero dei penitenti divenne così grande che il culto doveva dilungarsi per molto tempo. 

I vescovi allora fecero in quell’occasione un canone nel quale ordinarono che si scegliesse fra gli anziani un uomo savio che ascoltasse le confessioni dei penitenti ed imponesse loro la penitenza stabilita dai canoni a secondo il peccato. Questo anziano fu chiamato penitenziere. Ecco dunque quali furono le circostanze in cui si ebbe il principio della confessione auricolare privata ad un uomo. 

Alla fine del quarto secolo però questa confessione venne abolita. Il motivo ce lo dice lo storico Socrate: ‘Nello stesso tempo (anno 383) piacque abolire i preti delle chiese, che presiedevano alla penitenza, e ciò per la seguente ragione. Dopochè i Novaziani si erano separati dalla Chiesa per non volere comunicare con quelli che nella persecuzione di Decio, avevano apostatato, da quel tempo i vescovi aggiunsero all’albo ecclesiastico un prete penitenziere; affinché coloro che avevano peccato dopo il battesimo, confessassero i loro peccati innanzi al prete a ciò stabilito. La quale istituzione anche ora si mantiene presso le altre sétte. I soli Homousiani (così venivano chiamati coloro che avevano accettato la definizione del concilio di Nicea intorno alla divinità di Cristo Gesù) ed i Novaziani che convengono nella fede di quelli, han rigettato il prete penitenziere. Anzi i Novaziani neppure da principio vollero ammettere quest’aggiunta. Ma gli Homousiani, i quali ora tengono le chiese, avendo per alcun tempo conservata questa istituzione, finalmente, ai tempi di Nettario vescovo, l’abrogarono a cagione di un certo delitto commesso nella chiesa’. 

Il delitto in questione fu il seguente. Una nobile signora di Costantinopoli confessò di avere compiuto adulterio con un certo diacono di quella chiesa; il fatto da lei confessato però venne a conoscenza di tutti, per cui si decise di abolire la confessione per il male che ne derivava. 

Questa abolizione della confessione privata da farsi al prete sta ad indicare come essa non era reputata dai vescovi di allora di istituzione divina e necessaria alla salvezza come invece viene fatto credere oggi. 

Ma verso il 450, il vescovo di Roma Leone I incominciò a introdurre nella chiesa romana l’uso della confessione al penitenziere. E col passare del tempo essa si andò sempre più diffondendosi in Occidente.

Nel nono secolo, secondo diverse testimonianze cattoliche, la confessione auricolare al prete era semplicemente un uso ma non era ancora assolutamente obbligatoria e il prete non dava l’assoluzione che noi conosciamo oggi perché non veniva insegnato che egli avesse l’autorità di rimettere i peccati e quindi la confessione non era indispensabile alla salvezza. In un canone del concilio di Chalons tenutosi nel 813 si legge: ‘Alcuni dicono che bisogna confessare i propri peccati a Dio, altri dicono che bisogna confessarli ancora ai preti’.

Nel dodicesimo secolo i teologi papisti passarono a fare della confessione al prete una dottrina insegnata dalla Scrittura ma tra di loro c’erano molte divergenze a riguardo della sua istituzione (alcuni dicevano che era di diritto divino mentre altri che fosse un precetto ecclesiastico), e del potere del prete (alcuni dicevano che il prete rimetteva i peccati mentre altri dicevano che egli li dichiarava solo rimessi da Dio). 

In altre parole non c’era ancora una dottrina stabilita sulla confessione; si andò comunque via via facendo strada e fortificandosi sempre di più l’idea che fosse stata istituita da Cristo e che il prete avesse il potere divino di rimettere i peccati, per cui essa era obbligatoria. 

La confessione, come abbiamo visto, diventerà obbligatoria nel tredicesimo secolo sotto Innocenzo III. Diventerà poi ufficialmente sacramento al concilio di Firenze del 1439 che la incluse tra i sacramenti istituiti da Gesù Cristo.


Tratto dal libro di Giacinto Butindaro, La Chiesa Cattolica Romana pag. 45,46 – nota appie di pagina


Leggi anche:
LA PENITENZA (o confessione) - Confutazione della dottrina papista



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